Trovo questo scritto del 2007 in occasione del trentennale. Lo trovo una sintesi utile condotta anche su riviste di movimento che ancora possiedo.
Il movimento del 1977 è stato molte cose
insieme, contraddittorie e spesso tra loro in conflitto. Un movimento
giovanile ma soprattutto un sommovimento di opinioni consolidate, una
ricchezza di linguaggi e di vissuto che oggi si fa fatica ad
immaginare.
Inquadramento
storico.
Tutto
inizia o meglio precipita come in una soluzione chimica a lungo
tenuta in provetta a partire dal 17 febbraio. Luciano Lama, allora
leader autorevole della Cgil, viene contestato all’università di
Roma dagli studenti: salito sul palco per impartire una lezione sul
movimento operaio viene subissato da frizzi e lazzi di contestazione.
“Lama
o non Lama, non l’ama nessuno”.
Il servizio d’ordine serio e granitico non gradisce e finisce a
bastonate, mentre Lama è costretto a lasciare precipitosamente
l’ateneo romano
Quell’episodio
è l’inizio di una escalation di manifestazioni, leggi speciali
addirittura i carrarmati a Bologna inviati dall’allora ministro
dell’interno Francesco Cossiga (che oggi con il senno di poi ha
fatto autocritica su quell’improvvido e spropositato
provvedimento).
Il
dilagare degli scontri di piazza, degli scontri a fuoco con la
polizia imposti dal movimento dell’Autonomia Operaia segnano il
declino del movimento: la comparsa della compagna P 38, i morti tra
gli agenti ne suonano il “deprofundis”.
Eppure il movimento del 1977 è stato altro, molto
altro. Non solo gli autonomi e i fautori della lotta armata
decisamente in minoranza sebbene tragicamente considerati dai più
come “compagni che sbagliano”. Il 1977 è stato essenzialmente
il movimento delle femministe, degli indiani metropolitani, delle
università occupate, delle riviste e dei collettivi, di Radio Alice,
dell’ala creativa e situazionista . Ed è di questa variegata
componente che si è troppo facilmente persa la memoria.
Il rovesciamento ironico
“L’ironia
apre spazi, scardina, mostra ciò che ormai non si può più
nascondere”
si legge su “Zut”, una delle tante riviste di movimento nate in
quegli anni”. Sui muri delle università e delle principali città
italiane, Bologna in primis, comparvero scritte fantasie che ben
definiscono questo concetto. Tra le più efficaci e significative:
“Sarà
una risata che vi seppellirà”;
“Dopo
Marx Aprile”,
“Potere
Dromedario”,
“Felce
e Mirtillo”.
Il rovesciamento ironico nasceva soprattutto dalla
non accettazione e riconoscimento della ufficialità di
comportamenti, atteggiamenti, mentalità, ma anche linguaggi
consolidati. Se le femministe riassumevano il tutto con “Compagno
in piazza, fascista a letto”, i capetti della allora
Federazione giovanile del Pci che con aria dottrinale prendevano le
parole nelle assemblee allora permanenti per svolgere il loro
compitino, venivano interrotti al grido di “scemo, scemo”.
Le
certezze ideologiche, la militanza organizzata, l’apparato
partitico erano i bersagli principali dell’ironia del movimento. Il
tutto a ben vedere era cominciato qualche anno prima con la famosa e
seguitissima rubrica delle lettere del quotidiano “Lotta Continua”.
Per la prima volta compagni, militanti, lettori, mettevano in
pubblico senza vergogna il proprio privato. Giorgio così confessava
il proprio disagio: “A
volte ci vergogniamo delle nostre gioie, delle nostre tenerezze,
della nostra insicurezza, e recitiamo la parte di compagni tutti d’un
pezzo”.
La controinformazione
Sulla
rivista “A/traverso” uno dei teorici del movimento del 1977 e
promotore di Radio Alice, Franco Berardi “Bifo”, rifletteva sulla
necessità di porsi al di là dello specchio del linguaggio del
potere, proprio come fa la protagonista del libro di Lewis Carroll.
Come? Producendo “informazioni
false che mostrino quel che il potere nasconde. Non basta denunciare
le menzogne del potere, occorre denunciare e rompere anche la verità
del potere. Quando il potere dice la verità e pretende che sia
naturale, noi dobbiamo denunciare quel che vi è di disumano e di
assurdo in questo ordine della realtà che l'ordine del discorso
riproduce e riflette, e consolida. Svelare il carattere delirante del
potere. Fingiamo di essere al posto del potere, parliamo con la sua
voce, emettiamo segnali come se fossimo il potere, con il suo tono di
voce”.
Ad una manifestazione organizzata dal PCI e dal
Partito Repubblicano con la presenza di Amendola e Ugo La Malfa, due
politici che allora perseguivano una politica di contenimento dei
salari operai, venne distribuito un falso volantino, firmato dalla
Confindustria, nel quale l’organizzazione degli imprenditori
esprimeva il proprio incondizionato entusiasmo per la linea del PCI,
in tutto e per tutto coerente e organica agli interessi dei datori di
lavoro.
Un
altro falso fu la circolazione di una direttiva firmata dall’allora
ministro dell’Interno Cossiga ad uso interno delle forze
dell’ordine. Una abitazione era da considerarsi un covo di
sovversivi se: “ siamo
rintracciabili letti sfatti oltre le ore 10 del mattino; si trovino
libro del dadaismo tedesco; sia sorpreso qualcuno dormire o ascoltare
i Rolling Stones in orario lavorativo”.
Radio Alice
La grande innovazione del movimento del 1977 fu
l’utilizzo di mezzi di comunicazione nuovi: i video per riprendere
le manifestazioni, ma soprattutto la radio. Radio Alice venne
concepita a Bologna dal collettivo A/traverso nel 1975 e cominciò a
trasmettere il 9 febbraio 1976. Radio Alice era gioco, creatività:
“Radio Alice è un posto dove i conigli portano il panciotto e
gli speakers vanno al trotto, dove non ci sono macchine ma pensieri”.
“Radio Alice è una radio del movimento, è di chi si muove per
cambiare le cose e se stesso e magari non trova niente di meglio che
cercare di stare bene al mondo. Radio Alice è per chi è coerente e
chiede l’impossibile”.
Radio
Alice era soprattutto l’irrompere per la prima volta nella storia
dell’informazione della diretta telefonica: i microfoni aperti
sulle manifestazioni che davano consigli ai manifestanti (e per
questo venne chiusa), sulle scuole occupate, ma anche i microfoni
aperti sulla solitudine, sugli sballi, sulle insicurezze di una
generazione che si trovava a vivere in un tempo accelerato. Una
generazione alle prese “con
la rabbia, la protesta ma anche con tutta la nostra debolezza e
malinconia perché anche di questo è fatta la storia del comunismo”.
Una
generazione convinta che “i modelli
di vivere si sperimentano adesso senza aspettare il comunismo”,
che la rivoluzione “si
fa con le bolle di sapone”.
Una generazione che viveva il proprio corpo come linguaggio, convinta
che “il
desiderio trasforma il quotidiano”
e che “il linguaggio
che ancora non ci appartiene non è quello dello scambio: il
desiderio non conosce lo scambio, conosce solo il furto e il dono”.
Conclusione
Il
bel libro di Enrico Franceschini, “Avevo
vent’anni. Storia di un collettivo studentesco, 1977-2007”,
Milano, Feltrinelli, 2007 raccoglie a distanza di trent’anni i
ricordi, le esperienze, il vissuto di chi, nel 1977, faceva parte del
collettivo studentesco di Giurisprudenza all’Università di
Bologna. Microfoni aperti dunque ad alcuni dei protagonisti di quel
movimento.
Gianfranco:
“Era
la politica fatta dal basso che si prendeva la rivincita sulla
politica fatta dall’alto, dai leader, dai comitati, dalle
commissioni”.
Nena “Quegli
anni ci hanno dato la libertà di pensiero, ci hanno insegnato a non
accettare l’ordinarietà della vita, ad avere un approccio critico
alla realtà, ad essere autonomi nei giudizi”.
Conclusione musicale
Non
può che essere affidata a Claudio Lolli, autore nel 1976 di “Ho
visto anche gli zingari felici”, un disco dove in ogni canzone si
respira l’aria del movimento del 77. E
siamo noi a far bella la luna/ con la nostra vita/ coperta di stracci
e di sassi di vetro/ quella vita che gli altri ci respingono
indietro/ come un insulto/ come un ragno nella stanza/ Ma
riprendiamola in mano, riprendiamo intera/ riprendiamoci la vita/ la
terra, la luna e l’abbondanza”.
ESiamo
noi a far ricca la terra
noi che sopportiamo