giovedì 1 dicembre 2011

Marina Cvetaeva, la corsa e il volo

Marina Cvetaeva  (1892-1941) è stata la più grande anima poetica del Novecento. C'è differenza tra essere poeta ed essere un'anima poetica. La sua vita (infanzia aristocratica, fuga dopo la Rivoluzione, un marito antibolscevico e poi spia, due splendidi figli, miseria e stenti fino al suicidio per non finire in un gulag) i suoi versi, le sue lettere, mostrano e segnano questa differenza.

Differenza sostanziale. La corrispondenza con Rilke e Pasternak (Il Settimo Sigillo. Lettere 1926) è al riguardo straordinaria.
Milo De Angelis (altra grande anima poetica del Novecento) in "Poesia e destino" ci fa capire la forza delle lettere di Marina:

"C'è uno slancio che non conosce strade intermedie, nemmeno di fronte alle risposte più temporeggianti dei suoi interlocutori...Mai un preannuncio ad effetto o un invito ad ammirare ciò che viene mostrato".


(Le lettere non sono forse proprio questo?: un invito all'altro, una sottolineatura per mostrare e far ammirare solo una parte di noi).

Come ha scritto Serena Vitale che ha curato e tradotto gli scritti di Marina:
"Nemica del possesso e dell’avere, creatura dell’essenziale, del solo pane quotidiano, povera qui, nelle lettere Marina Cvetaeva si spendeva fino all’ultimo centesimo, a dismisura – la sua misura. Il mondo epistolare era la sua ricchezza, il suo lusso. Si spendeva e si espandeva. Si spalancava, dilatava: “creava spazio".

Uno spazio e insieme una profondità che spiazzava i suoi interlocutori, che finivano per avere l'acqua alla gola, che di fronte a tale vastità si ritraevano per paura di perdersi. Per paura di perdere le loro prerogative di poeti. Perchè loro erano tali. Loro, diversamente da Marina, non avevano un'anima poetica.

"Che cosa voglio da te, Rainer? Niente. Tutto.

Quando una persona -  come me - non ha nè denaro, nè tempo, sceglie la cosa più neccesaria: l'essenziale.
(Cvetaeva - Rilke, 9 maggio 1926)

Non parlo dell'uomo Rilke (l'uomo è ciò a cui siamo condannati!), ma del Rilke spirito, che è ancora più del poeta: è lui che io chiamo Rilke - il Rilke del futuro
Quando amo, non posso e non voglio scegliere (volgare e limitato diritto!)

Caro, io so già
tutto - quello che da me va verso te - ma per molte cose è ancora troppo presto. C'è qualcosa in te che deve ancora abituarsi a me
(Cvetaeva - Rilke, (Cvetaeva - Rilke, 13 maggio 1926)

E come reagiva l'invocato Rilke di fronte a questa realtà fisica dell'anima che Marina creava nelle sue lettere? Cosa capiva di quella forza delle parole che per lei "era atto non meno reale che il contatto fisico tra due mani" (Serena Vitale)? 
Reagiva e scriveva da poeta.

Marina, con tutta l'anima, con tutta la mia coscienza, sconvolta da te e dalla tua apparizione, quasi che il tuo oceano, che insieme a te leggeva, mi si fosse rovesciato addosso in un enorme flusso del cuore.

Ma cosa dire, cara, a te che tieni in mano le Elegie, che tieni le Elegie nelle tue mani, accanto al cuore che batte partecipe per la loro vicinanza...

(Rilke - Cvetaeva,  10 maggio 1926)

Patetico nella sua prosa romantica. Ancora più patetico quando il suo ego si impettisce alla visione e considerazione trionfalistica del suo libro "Elegie duinesi" nelle mani di Marina.

O come quando parla della sua necessità di solitudine per ottenere "la vittoria" del comporre le Elegie:

Entusiamo e vittoria, Marina una sconfinata vittoria! E per ottenerla mi fu indispensabile questo eccesso di solitudine, in tutta la sua micidialità.
Una vittoria e una conquista tipicamente maschili. E fa ancora peggio quando, dopo aver parlato di ciò, della sua malattia, delle sue vicende, se ne esce con:

Marina, cara, tutto ciò riguarda me, scusami!

Normale e logico quello che successe, come nota Serena Vitale:



"Si annullava fino all’ultimo suo atomo, offriva l’incendio di sé come rogo da attraversare al principio di un lungo viaggio iniziatici. Spaventati dal calore (e soprattutto dalla meta finale di quel viaggio: l’anima) i più arretravano sbigottiti. Bruciava, e attirava i figli nella propria vampa per iniziarli all’immortalità".

Di fronte a Marina che scriveva a Rilke:

Perchè ti dico tutto questo. Probabilmente per paura che tu veda in me una normale passione sentimentale (la passione è la servitù della carne). Io sono un suono diverso dalla passione.

Di fronte a Marina che scriveva a Pasternak:

Non potrei vivere con te non per via dell'incomprensione, ma della comprensione.

i due suoi corrispondenti non riescono a capire o meglio fingono di capire, salvo poi ritrarsi. Come fece Rilke che, messo di fronte, alla richiesta di un incontro da Marina:

se vuoi vedermi, vedermi con gli occhi, tu devi agire, cioè: - "Tra due settimane sarà in quel posto. Verrai?"

semplicemente non rispose. Come scrive Milo De Angelis: "non può reggere ad una domanda che lo mette tanto a nudo: alla fine anche la più nobile dignità rilkiana diventa un ritirarsi"

Ma Marina lo aveva capito. Scrivendo a Pasternak a proposito del suo non amore per il mare: " Tanto spazio, non ci si può camminare. Primo. Lui si muove e io guardo", Marina parla del mare di notte:

E' freddo, invisibile, nonamante. pieno di sè - come Rilke!
e a proposito della sua volontà di non voler più scrivere a Rilke:

A lui non serve. E a me fa male. Non sono meno grande di lui (nel futuro), ma sono più giovane. Di molte vite.


Sì, Marina era giovane perchè aveva molte più vite. Perchè non era poeta ma un'anima poetica. Perchè era imprendibilè. Perchè era la corsa ed era il volo. E nessuno poteva o sapeva affiancarla.

....
Tu sei il cacciatore, ma io non mi darò
tu sei l'inseguimento, ma io sono la corsa

(Alla vita, 25 dicembre 1924)



Alla mia povera fragilità
guardi senza sprecar parole

Tu sei di pietra, ma io canto
Tu sei un monumento, ma io volo

(16 maggio 1920)



























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