martedì 30 ottobre 2012

FELCE E MIRTILLO

Trovo questo scritto del 2007 in occasione del trentennale. Lo trovo una sintesi utile condotta anche su riviste di movimento che ancora possiedo.
 
Il movimento del 1977 è stato molte cose insieme, contraddittorie e spesso tra loro in conflitto. Un movimento giovanile ma soprattutto un sommovimento di opinioni consolidate, una ricchezza di linguaggi e di vissuto che oggi si fa fatica ad immaginare.


Inquadramento storico.

Tutto inizia o meglio precipita come in una soluzione chimica a lungo tenuta in provetta a partire dal 17 febbraio. Luciano Lama, allora leader autorevole della Cgil, viene contestato all’università di Roma dagli studenti: salito sul palco per impartire una lezione sul movimento operaio viene subissato da frizzi e lazzi di contestazione. “Lama o non Lama, non l’ama nessuno”. Il servizio d’ordine serio e granitico non gradisce e finisce a bastonate, mentre Lama è costretto a lasciare precipitosamente l’ateneo romano

Quell’episodio è l’inizio di una escalation di manifestazioni, leggi speciali addirittura i carrarmati a Bologna inviati dall’allora ministro dell’interno Francesco Cossiga (che oggi con il senno di poi ha fatto autocritica su quell’improvvido e spropositato provvedimento).

Il dilagare degli scontri di piazza, degli scontri a fuoco con la polizia imposti dal movimento dell’Autonomia Operaia segnano il declino del movimento: la comparsa della compagna P 38, i morti tra gli agenti ne suonano il “deprofundis”.

Eppure il movimento del 1977 è stato altro, molto altro. Non solo gli autonomi e i fautori della lotta armata decisamente in minoranza sebbene tragicamente considerati dai più come “compagni che sbagliano”. Il 1977 è stato essenzialmente il movimento delle femministe, degli indiani metropolitani, delle università occupate, delle riviste e dei collettivi, di Radio Alice, dell’ala creativa e situazionista . Ed è di questa variegata componente che si è troppo facilmente persa la memoria.


Il rovesciamento ironico

L’ironia apre spazi, scardina, mostra ciò che ormai non si può più nascondere” si legge su “Zut”, una delle tante riviste di movimento nate in quegli anni”. Sui muri delle università e delle principali città italiane, Bologna in primis, comparvero scritte fantasie che ben definiscono questo concetto. Tra le più efficaci e significative: “Sarà una risata che vi seppellirà”; “Dopo Marx Aprile”, “Potere Dromedario”, “Felce e Mirtillo”.

Il rovesciamento ironico nasceva soprattutto dalla non accettazione e riconoscimento della ufficialità di comportamenti, atteggiamenti, mentalità, ma anche linguaggi consolidati. Se le femministe riassumevano il tutto con “Compagno in piazza, fascista a letto”, i capetti della allora Federazione giovanile del Pci che con aria dottrinale prendevano le parole nelle assemblee allora permanenti per svolgere il loro compitino, venivano interrotti al grido di “scemo, scemo”.

Le certezze ideologiche, la militanza organizzata, l’apparato partitico erano i bersagli principali dell’ironia del movimento. Il tutto a ben vedere era cominciato qualche anno prima con la famosa e seguitissima rubrica delle lettere del quotidiano “Lotta Continua”. Per la prima volta compagni, militanti, lettori, mettevano in pubblico senza vergogna il proprio privato. Giorgio così confessava il proprio disagio: “A volte ci vergogniamo delle nostre gioie, delle nostre tenerezze, della nostra insicurezza, e recitiamo la parte di compagni tutti d’un pezzo”.


La controinformazione

Sulla rivista “A/traverso” uno dei teorici del movimento del 1977 e promotore di Radio Alice, Franco Berardi “Bifo”, rifletteva sulla necessità di porsi al di là dello specchio del linguaggio del potere, proprio come fa la protagonista del libro di Lewis Carroll. Come? Producendo “informazioni false che mostrino quel che il potere nasconde. Non basta denunciare le menzogne del potere, occorre denunciare e rompere anche la verità del potere. Quando il potere dice la verità e pretende che sia naturale, noi dobbiamo denunciare quel che vi è di disumano e di assurdo in questo ordine della realtà che l'ordine del discorso riproduce e riflette, e consolida. Svelare il carattere delirante del potere. Fingiamo di essere al posto del potere, parliamo con la sua voce, emettiamo segnali come se fossimo il potere, con il suo tono di voce”.

Ad una manifestazione organizzata dal PCI e dal Partito Repubblicano con la presenza di Amendola e Ugo La Malfa, due politici che allora perseguivano una politica di contenimento dei salari operai, venne distribuito un falso volantino, firmato dalla Confindustria, nel quale l’organizzazione degli imprenditori esprimeva il proprio incondizionato entusiasmo per la linea del PCI, in tutto e per tutto coerente e organica agli interessi dei datori di lavoro.

Un altro falso fu la circolazione di una direttiva firmata dall’allora ministro dell’Interno Cossiga ad uso interno delle forze dell’ordine. Una abitazione era da considerarsi un covo di sovversivi se: “ siamo rintracciabili letti sfatti oltre le ore 10 del mattino; si trovino libro del dadaismo tedesco; sia sorpreso qualcuno dormire o ascoltare i Rolling Stones in orario lavorativo”.


Radio Alice

La grande innovazione del movimento del 1977 fu l’utilizzo di mezzi di comunicazione nuovi: i video per riprendere le manifestazioni, ma soprattutto la radio. Radio Alice venne concepita a Bologna dal collettivo A/traverso nel 1975 e cominciò a trasmettere il 9 febbraio 1976. Radio Alice era gioco, creatività: “Radio Alice è un posto dove i conigli portano il panciotto e gli speakers vanno al trotto, dove non ci sono macchine ma pensieri”. “Radio Alice è una radio del movimento, è di chi si muove per cambiare le cose e se stesso e magari non trova niente di meglio che cercare di stare bene al mondo. Radio Alice è per chi è coerente e chiede l’impossibile”.

Radio Alice era soprattutto l’irrompere per la prima volta nella storia dell’informazione della diretta telefonica: i microfoni aperti sulle manifestazioni che davano consigli ai manifestanti (e per questo venne chiusa), sulle scuole occupate, ma anche i microfoni aperti sulla solitudine, sugli sballi, sulle insicurezze di una generazione che si trovava a vivere in un tempo accelerato. Una generazione alle prese “con la rabbia, la protesta ma anche con tutta la nostra debolezza e malinconia perché anche di questo è fatta la storia del comunismo”.

Una generazione convinta che “i modelli di vivere si sperimentano adesso senza aspettare il comunismo”, che la rivoluzione “si fa con le bolle di sapone”. Una generazione che viveva il proprio corpo come linguaggio, convinta che “il desiderio trasforma il quotidiano” e che “il linguaggio che ancora non ci appartiene non è quello dello scambio: il desiderio non conosce lo scambio, conosce solo il furto e il dono”.


Conclusione

Il bel libro di Enrico Franceschini, “Avevo vent’anni. Storia di un collettivo studentesco, 1977-2007”, Milano, Feltrinelli, 2007 raccoglie a distanza di trent’anni i ricordi, le esperienze, il vissuto di chi, nel 1977, faceva parte del collettivo studentesco di Giurisprudenza all’Università di Bologna. Microfoni aperti dunque ad alcuni dei protagonisti di quel movimento.

Gianfranco: “Era la politica fatta dal basso che si prendeva la rivincita sulla politica fatta dall’alto, dai leader, dai comitati, dalle commissioni”. Nena “Quegli anni ci hanno dato la libertà di pensiero, ci hanno insegnato a non accettare l’ordinarietà della vita, ad avere un approccio critico alla realtà, ad essere autonomi nei giudizi”.


Conclusione musicale

Non può che essere affidata a Claudio Lolli, autore nel 1976 di “Ho visto anche gli zingari felici”, un disco dove in ogni canzone si respira l’aria del movimento del 77. E siamo noi a far bella la luna/ con la nostra vita/ coperta di stracci e di sassi di vetro/ quella vita che gli altri ci respingono indietro/ come un insulto/ come un ragno nella stanza/ Ma riprendiamola in mano, riprendiamo intera/ riprendiamoci la vita/ la terra, la luna e l’abbondanza”.

ESiamo noi a far ricca la terra
noi che sopportiamo

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