sabato 27 febbraio 2016

L'ANIMA DELLA CITTA'


Angelini e Pavia


La prima dichiarazione d’amore di Angelini a Pavia viene “fatta” nel 1925. Nel volume “Commenti alla cose” compare il Discorso con la mia città. Ed è un discorso destinato a prolungarsi negli anni, a trasformarsi in un dialogo che dalle grandi zoomate si restringe ai primi, anzi primissimi piani: dall’impianto fotografico della città, alle vie, ai tetti, ai sassi, ai camini.


Nel Discorso con la mia città Angelini comincia a pensare in modo armonioso Pavia «che vuoi dire conoscerla intimamente ». È una scoperta dell’insieme che parte dalla forma archeologica del castrum, del cardo e del decumano. È una sorta di risalita alle origini, a quella che potremmo definire l’editio princeps della città, da cui poi raccogliere e collazionarne le varianti.


La scoperta, diremmo, dell’insieme, m’aiuta a ritrovare a uno a uno tutti i particolari e ogni via o chiassòlo e scuro, ogni inferriata o portale o mozzicon di torre mi diventa un buon filo per ritrovare l’anima più vera, e la storia fino al suo nascimento lontano.



Stradario pavese” (uscito nel volume Carta, penna e calamaio, 1944) può essere considerato un « copione cinematografico in fieri ». Con questi scritti Angelini gira il suo film su Pavia. Protagoniste diventano le strade che «arrivano dalla campagna, ancora illuminate di rogge e prati. Alle porte si trasformano, timide; si mettono sul bello... » e, una volta arrivate in centro, diventano:


tranquille, riposate, fatte apposta per scendervi avfar quattro passi e per creare quell’utile allacciamento di relazioni affabili che è condizione di vita di qualunque città.


Dalle strade l’occhio cinematografico di Angelini compie una serie di primissimi piani. Ecco allora i sassi di Pavia tra i quali nasce l’erba che Angelini non capi­ sce perché debba essere strappata. Prima di descrivere la poesia di quei sassi, Angelini contrappone alla frenesia tumultuosa e indiavolata (già allora!) di Milano la condizione vincente di “provincia” di Pavia;



Parlandone come dall’alto, i milanesi la chiamano provincia". Non so cosa vogliano dire; se non, forse, una condizione di vita modesta ma certo onesta, che è la sua più vera aristocrazia, fatta di silenzio e di pudore nei confronti con una città tumultuosa e indemoniata come la loro è. Città di tono tenue, a Pavia si ritrovano ancora le virtù screditate: ritegno, discrezione, modestia. E ce ne vantiamo.



Ma poi protagonisti diventano i sassi:


Ma bisogna vederli, dopo la pioggia, i sassi di Pavia; lustri, sensibili, teneri, che terni quasi a calcarli. Vivi, come se l’acqua li avesse svegliati lurnachelle mèssesi tutt’insieine a camminare. Vieni a vederli in piazza Borrorneo e nelle stradine d’intorno che paion già campagna: taluni d’un nero frusciante come dossi d’anguille; altri di quarzo argenteo scattanti fuoco sotto lo zoccolo dei cavalli; altri d’un rosso che fischia; o, verdissimi come malachiti, vibrano appena sfiorati dal bacio d’una rondine.



Poi l’occhio si alza da terra ed ecco inquadrati i bei cancelli in ferro battuto

«che scopri in un’improvvisa svoltata, quasi l’apparire cordiale d’una rama di mandorlo in fiore». Più in alto ancora ed ecco i camini, segno di una città « che ha ancora tanti focolari, tanta umanità di vita ». E qui, con la visione, nasce la poesia:


Se poi sui tegoli lavagna appare un gatto, tutto il tetto s’arrùffa e i camini si muovono, come dentro un’improvvisa opera stregonesca; e pensi ad anime de/purgatorio che salgono e scendono per la cappa fuligginosa e contorta. Allora capisci anche meglio la funzione che hanno, lì accanto, gli abbaini, i misteriosi castelli delle civette, le dame della notte.




L’anima nascosta di Pavia ci viene svelata nello scritto Pavia, dolce provincia presente in “Frammenti del sabato”:


In complesso, Pavia è città che aiuta a salvar l’anima. Fuori d’ogni arcadia, si sente che, raccolta tra il Ticino e il Naviglio ‑ cinture di luce che l’allegrano Pavia, ha l’ufficio di custodire la modestia del vivere, l’umiltà, il pudore.

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